Comprender mejor América Latina a la luz del Bicentenario

Discurso del Cardenal Pietro Parolin, Secretario de Estado del Santo Padre Francisco, en ocasión de la presentación del volumen titulado “Memoria, coraje y esperanza; a la luz del bicentenario de la independencia de América Latina”, del profesor Guzmán Carriquiry Lecour.

Card. Pietro Parolin
27/11/2017
Print Mail Pdf

Parolin

Eminenze; Eccellenze, Reverendissimi Monsignori, caro professor Guzmán  Carriquíry Lecour, cari amici:

Presentiamo oggi il volume del professor Guzmán Carriquíry Lecour, segretario incaricato della vice presidenza della Pontificia Commissione per l'America Latina. L’opera si fregia della duplice presentazione dell'allora Cardinale Jorge Mario Bergoglio e di Papa Francesco. Il titolo è quanto mai significativo: “Memoria, coraje y esperanza. A la luz del bicentenario de la indipendencia de América Latina”. Questo titolo è tratto da una frase del Pontefice del 27 luglio 2016, relativa al processo di pacificazione in Colombia, quando fece riferimento proprio a tre aspetti: “memoria, coraje, esperanza”.

Le origini di questo libro vanno ricercate nell’intervento che il professore fece davanti ai membri del Corpo Diplomatico dei Paesi latinoamericani accreditati presso la Santa Sede in occasione del bicentenario dell'indipendenza. Certamente, come spiega l'autore, il presente saggio travalica i limiti di quella conferenza, in quanto grazie a un attento studio e a ulteriori approfondimenti, il testo iniziale è stato arricchito e integrato. Lo scopo era di offrire alcuni criteri per comprendere meglio le celebrazioni dello stesso bicentenario.

Scriveva l'allora Cardinal Bergoglio nel gennaio 2011 nella prefazione alla precedente edizione del volume che presentiamo: “L’opera del dott. Guzmán Carriquiry evita da subito il rischio di esaurirsi in una cronaca di fatti isolati”. Infatti, essa “inserisce l’argomento trattato all’interno della dinamica di un processo, giacché l’indipendenza dei paesi latinoamericani non fu un fatto isolato, accaduto in un unico momento, bensì un cammino. Una strada che, pur con difficoltà e regressi, occorre ancora continuare a percorrere, anche in mezzo a nuove fiammate di colonialismo”.  È ancora il Cardinal Bergoglio a sottolineare come “Questo stile dinamico dell’opera, oltre al racconto dei fatti, implica uno sforzo interpretativo di tutto questo processo. È in questo punto che osservo la sua maggior ricchezza. Carriquiry entra nel problema dell’ermeneutica con cui occorre affrontare i processi storici e i singoli fatti. Su questo punto è veramente originale”.

Effettivamente, l'autore non si limita a fornire un'ampia analisi dei fatti che hanno portato all'indipendenza dei Paesi latinoamericani, ma offre un'acuta lettura di quanto ancora resta da fare nel cammino della vera emancipazione dei popoli. Questo perché l'indipendenza, al di là di essere un fatto compiuto, è un processo ancora in atto. Ne erano consapevoli anche i protagonisti di quell'avventura e quanti raccolsero da loro la consegna di portare avanti i progetti indipendentisti negli anni successivi. A conferma di ciò è utile conoscere quanto affermava José Martí, eroe e politico cubano, alla fine del XIX secolo: “Quello che Bolívar non ha fatto, si deve ancora fare”. Di quanto effettivamente resta da fare troviamo ampia sintesi nel volume del professor Carriquíry, il quale dedica un capitolo intero a questo tema di grande attualità.

Per comprendere queste attese che ci proiettano nel futuro occorre compiere un salto nel passato. Nel gennaio del 1830, quattro mesi prima delle sue dimissioni, Simón Bolívar affermava davanti al Congresso colombiano: "Io arrossisco nel dire che l'indipendenza è l'unico bene che abbiamo acquisito a spese di tutti gli altri".

Questa affermazione ci introduce nel capitolo dedicato a quanto sia costata in termini umani ed economici l'indipendenza. Questa frase potrebbe anche essere interpretata come l'amara consapevolezza di non essere riusciti a compiere un'indipendenza integrale e autentica. Infatti, molte delle istanze che portarono alla ricerca della libertà non trovarono corrispondenza nella realtà. La violenza rimase costante nella vita quotidiana, le pulsioni militari non cessarono di caratterizzare le società. I rappresentati politici rimasero espressione delle élites oligarchiche che produssero governi e istituzioni molto fragili, dalle quali la popolazione restò esclusa. Inoltre, non si raggiunse nemmeno l’obiettivo prioritario, quello cioè di migliorare le condizioni economiche e sociali dei popoli. Si assistette, addirittura, a un peggioramento delle condizioni dei nativi americani. Tutto il contrario degli auspici sui quali si basava la ricerca dell’indipendenza.

Un altro elemento che ebbe ripercussioni notevoli sui futuri assetti dell'America Latina fu, come conferma nella sua analisi il professor Carriquiry, il contrasto stridente con la realtà del Nord America. Infatti, mentre dopo la guerra di secessione, si riuscirono a creare su solide basi gli Stati Uniti d’America, al sud, dopo il crollo dell'Impero spagnolo, si verificarono le condizioni per quella situazione che viene chiamata con il termine di "balcanizzazione" ispanoamericana. In effetti, non si dette vita a un'unione di Stati, ma all'istituzione di una quindicina di entità nazionali divise tra loro.

L’intento di Simón Bolívar, al contrario, era di realizzare un progetto unitario riguardo al futuro dei popoli latinoamericani e ripeteva che: “Per noi, la Patria è America” e raccomandava sempre: “Unione, unione o l'anarchia ci divorerà”. Ma il suo grido rimase inascoltato e la frammentazione prese il sopravvento.

Molti sono i fattori che fecero fallire i progetti iniziali, a cominciare dalla mancanza di comunicazioni, alla grande estensione del territorio, all'assenza di forze produttive agglomeranti, alla carenza di un centro economico e politico che fosse in grado di trainare tutto il resto. In pratica, vennero fatti prevalere gli interessi locali e regionali delle oligarchie commerciali e latifondiste, che costruirono la propria “polis oligarchica” per esercitare il potere sulle varie capitali nazionali e porle al loro servizio.

Per questo, festeggiare il bicentenario è un'occasione per cercare di individuare le condizioni necessarie per una effettiva indipendenza che sia tale per l'epoca in cui viviamo, cioè inserita e in sintonia con lo sviluppo degli altri continenti e con la globalizzazione che pone ogni giorno nuove sfide da affrontare. Le potenzialità enormi che l'America Latina possiede sono occasioni uniche per offrire al mondo uno stile di vita, una lezione di civiltà millenaria e risorse umane che possono contribuire al progresso di tutti i popoli.

Quello che l’America Latina sta sperimentando in questi ultimi anni, cioè una crescita economica in alcuni settori, anche se velata da ampie contraddizioni, rappresenta uno stimolo allo sviluppo anche per gli altri continenti. Questo incremento del commercio, delle esportazioni, della produzione agricola e industriale, dovrebbe garantire una crescita equa e solidale a tutta la popolazione, E ciò ci riporta a quanto ancora resta da fare per una piena ed effettiva indipendenza. In primo luogo, occorre garantire uno sviluppo autonomo e un investimento ad ampio raggio e di lunga durata che modernizzi tutti i settori dell'economia. I benefici dello sviluppo economico devono poi essere distribuiti in maniera equa a tutta la popolazione, senza che una ristretta classe al potere usufruisca dei proventi, mentre il popolo ne rimane escluso. Quello della diseguaglianza sociale è un aspetto molto sentito in questi ultimi decenni e riporta al bisogno di garantire a tutti i beni essenziali per vivere dignitosamente.

Papa Francesco, il 2 ottobre 2014, rivolgendosi ai partecipanti alla plenaria del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace disse, tra l'altro: “La crescita delle diseguaglianze e delle povertà mettono a rischio la democrazia inclusiva e partecipativa, la quale presuppone sempre un’economia e un mercato che non escludono e che siano equi. Si tratta, allora, di vincere le cause strutturali delle diseguaglianze e della povertà. Nell’Esortazione apostolica ‘Evangelii gaudium’ ho voluto segnalare tre strumenti fondamentali per l’inclusione sociale dei più bisognosi, quali l’istruzione, l’accesso all’assistenza sanitaria e il lavoro per tutti (cfr n. 192)”.

Per questo, nel dinamico processo di indipendenza, a cui fa riferimento l'autore, c’è bisogno di continuare con tenacia quel processo di emancipazione di ampi settori popolari che sono per lo più esclusi dalla società, offrendo un migliore livello di istruzione scolastica, un più facile accesso al mondo del lavoro e una più incisiva partecipazione alla vita pubblica.

Occorre poi – e questo è prioritario – portare a termine una efficiente coesione sociale e una tutela maggiore della dignità umana.

Ogni persona dovrebbe poter vivere nel proprio Paese senza dover temere riguardo alla propria incolumità e senza doversi difendere dalle prevaricazioni e dalle violenze e soprusi di minoritari gruppi ideologizzati che seminano odio e divisioni. In questo senso, è necessario rafforzare sempre più la democrazia che si è affermata in molti Paesi e che in altri si sta consolidando, cercando di mitigare ogni deriva autocratica.

Nel processo dell'indipendenza è bene tener presente l'identità cattolica popolare dell'America Latina, per non correre il rischio di perdere un valore insostituibile e fondamentale.

A questo proposito, è quanto mai significativo quanto scriveva l'allora Cardinale Bergoglio nella prefazione al volume: “La Chiesa, nel Documento finale della V Conferenza dell’episcopato latinoamericano, fa sua questa concezione storica dei popoli di questo continente conscia del fatto che lo ‘specifico cattolico’, che corrisponde all’Incarnazione del Verbo, è costitutivo della nostra realtà latinoamericana”.

Il prof. Carriquiry - aggiungeva l'Arcivescovo di Buenos Aires - “comprende benissimo questa impostazione e la plasma con rigore intellettuale in quest’opera che non elude né le problematiche né i diversi fallimenti avvenuti durante questi duecento anni. E, proprio per il fatto di essere cattolico, non occulta neppure il peccato storico che così spesso si è riproposto nel seno del nostro popolo. Ha il coraggio di guardare più indietro, e oltre, verso la promessa di quel meticciato culturale profeticamente impresso sul volto indigeno di una Madre incinta, ascoltando il suo confortante messaggio di vita così promettente: ‘Non sono forse io Tua Madre?’”.

Caso unico nella storia, la Vergine Maria è stata la prima e vera evangelizzatrice di un intero continente: l'America Latina. Con la sua apparizione all'indio Juan Diego del 9 dicembre 1531, sulla collina del Tepeyac, nei pressi della capitale del Messico, la Madre di Dio si fece meticcia tra i meticci e si mostrò con i tratti somatici di una donna del popolo nativo. Fu così la prima a inculturare il Vangelo e a mostrasi Madre per tutta quella massa di diseredati, di sbandati e di bisognosi che affollavano le terre americane. Dobbiamo riconoscere che nell'evangelizzazione del Nuovo mondo ha contribuito molto più l'apparizione della Vergine di Guadalupe che non gli sforzi umani.

Si deve perciò ricondurre alla grande devozione popolare dei latinoamericani nei confronti di Maria e dei Santi se l’indipendenza non fu caratterizzata dalle tendenze anticlericali che segnarono la Rivoluzione francese.

È vero però che le guerre che portarono alle varie indipendenze nazionali provocarono una frattura nella cristianità latinoamericana.

Infatti, la maggior parte dei Vescovi erano stati scelti dalla monarchia spagnola e sottoposti al patronato regio, perciò diedero il loro appoggio alla causa realista, mentre i sacerdoti e i religiosi si schierarono con i patrioti.  In quel tempo, la Chiesa soffriva sia per le ingerenze del potere regalista, sia per l'espulsione dei Gesuiti che aveva impoverito la sua capacità di raggiungere ogni settore della popolazione. Le guerre che portarono all’indipendenza non fecero altro che accentuare la divisione all'interno della Chiesa e produssero un cambiamento radicale nell'organizzazione delle diocesi. Vennero anche distrutti conventi, seminari e smantellate opere di catechesi e di carità. Diversi sacerdoti si impegnarono direttamente nei dibattiti delle varie assemblee costituenti, altri sposarono interamente la causa rivoluzionaria e alcuni divennero cappellani delle truppe, talvolta mettendosi al servizio diretto dei capi dell'insurrezione.

Con l’indipendenza, al momento della creazione delle nuove entità nazionali, la nuova classe dirigente che si sostituì ai precedenti governanti, impose grandi limiti all’azione della Chiesa, arrivando perfino a perseguitarla. Tuttavia, ciò non impedì alla fede cristiana di continuare a propagarsi tra la gente, grazie anche alla pietà popolare, seppur mancante di una vera e propria catechesi.

Di fatto, e qui mi riallaccio a quanto detto prima, la Vergine Maria salvò i popoli latinoamericani dalle derive estremiste e ne preservò la fede.

L'allora Cardinale Bergoglio, nella prefazione al volume, riferisce che sullo “specifico cattolico”, “si ispira anche un altro aspetto importante della metodologia di quest’opera: Il prezzo che i popoli dovettero pagare sull’altare di una politica indipendentista sradicata dalla realtà. Si può parlare di un concetto di indipendenza di tipo nominalistico al quale si sono ispirati tanti capitoli della nostra storia latinoamericana configurando una sorta di romanticismo libertario. L’autore è molto acuto nell’analizzare questo problema, e critico nella descrizione delle conseguenze che dovettero subire i nostri popoli. Le canzoni patriottiche sono molte volte un esempio di questo nominalismo della libertà, che finisce per essere un’idea sradicata dalla realtà concreta dei popoli”.

Il professor Carriquíry è consapevole dei limiti dell'indipendenza che spesso è stata segnata più da ideologia che da concreta occasione di emancipazione dei popoli e invita a creare le condizioni per “una seconda indipendenza”, più coerente con la tradizione, con le risorse umane e materiali, con le politiche e con gli ideali propri che non influenzata dalle potenze che dominano lo scenario internazionale.

L'autore richiede una nuova era patriottica per affrontare i gravi problemi non risolti nella costruzione delle società latinoamericane, per promuovere l'inserimento e riconoscere un ruolo da protagonista al continente nell'attuale situazione mondiale.

Il professor Carriquiry sottolinea poi come l'elezione del primo Papa latinoamericano della storia sia l'evento che attualmente ha il più profondo significato, perché interpella direttamente la Chiesa, i popoli e le nazioni dell'America Latina. La Provvidenza, scrive l'autore, “ci ha posto in una situazione singolare. La speranza che l'attuale pontificato semina nei nostri popoli deve tradursi in mobilitazioni popolari e dibattiti politici e intellettuali nel perseguimento di un rinnovato progetto storico per l'America Latina, nonostante le condizioni certamente confuse e critiche del contesto internazionale”.

Vorrei concludere con una frase tratta dalla presentazione di Papa Francesco che getta una luce di speranza sul futuro del continente e invita a un grande impegno comune: “Abbiamo bisogno di nonni che diano impulso e di giovani che – ispirati dagli stessi sogni – corrano in avanti con la creatività della profezia. Questa stessa creatività della profezia è richiesta ai Pastori della Chiesa in America Latina, fuori da ogni clericalismo senza radici e astratto. Nei miei viaggi apostolici nei Paesi latinoamericani ho potuto ammirare nuovamente le energie di fede e sapienza, dignità e solidarietà, gioia e speranza che battono nel cuore della nostra gente e animano il loro ethos culturale”.